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I perchè della Mindfulness

Come abbiamo visto nel precedente articolo, la Mindfulness non è solo una moda passeggera ma è un’antica pratica proveniente dall’Oriente e studiata approfonditamente in Occidente.

Consiste semplicemente nello sviluppare, attraverso specifici esercizi, la capacità di focalizzare la mente sui propri contenuti, senza giudizio, senza censure, senza paure. E qualora si presentino delle distrazioni, nell’ esserne consapevoli e nel riportare gentilmente l’attenzione al proprio vissuto nel momento presente.

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Dunque, dov’eravamo rimasti?…Ad una domanda che può sorgere spontaneamente: ma come funziona la Mindfulness? Quali sono i meccanismi che la rendono efficace e utile psicologicamente e psicosomaticamente?

Una riflessione importante e dettagliata su questo punto è stata avviata da Bayern nel 2010, un ricercatore che ha proposto alcune spiegazioni a riguardo.

Innanzitutto la mindfulness incrementa la consapevolezza di sé e della vita quotidiana, ma soprattutto, consente di divenire più coscienti dei propri valori e di allineare i propri comportamenti a questi.

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Infatti, come abbiamo visto, allenandosi a consentire l’esistenza di vissuti anche sgradevoli e indesiderabili, senza necessariamente reagire, è possibile sviluppare una maggiore flessibilità psicologica e una migliore capacità di scelta.

Un altro fattore importante è lo sviluppo, grazie alla Mindfulness, di un atteggiamento di amichevolezza verso se stessi, di auto accettazione.

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Cioè permette di non colpevolizzarsi, non fuggire dalle esperienze interne o esterne difficili, non rimanerne intrappolati, ma di riuscire, invece, ad accoglierle, rafforzando la propria capacità di influire sulle direzioni della propria vita.

E tutto ciò si traduce, in sostanza, in una migliore abilità nella regolazione delle emozioni. Con questa espressione s’intende la capacità di determinare quanto farsi coinvolgere dalle proprie emozioni ed il modo di esprimerle. Un elemento che studi recenti, hanno messo in luce essere un fattore chiave nella salute mentale, dal momento che diverse forme di psicopatologia

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sembrano avere in comune proprio una compromissione, più o meno grave, nella capacità di modulare le proprie emozioni e la tendenza a mettere in atto strategie disfunzionali per evitarle. Strategie che possono avere anche un certo effetto a breve termine, ma che solitamente, a lungo termine, provocano un peggioramento delle condizioni.

Gli interventi basati sulla Mindfulness differiscono da altri modelli di trattamento per un punto molto importante: questa pratica oltrepassa tali strategie e meccanismi di difesa, e insegnando al paziente a notare le distrazioni e a non farsene coinvolgere, consente un confronto diretto con i propri vissuti disturbanti, aumentando così la capacità di tollerarli ed accoglierli nella sfera della coscienza.

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In tal modo le energie psicologiche della persona sono restituite al controllo dell’io e quindi le capacità di influenza della persona sulle direzioni della propria esistenza non possono che rafforzarsi.

Da un punto di vista neurofisiologico, si è riscontrato che la Mindfulness è in

neurofisiologia

grado di produrre cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello, come ad esempio un incremento dell’elaborazione cognitiva ed emotiva e miglioramenti nell’attenzione e nella memoria di lavoro (cioè nella memoria a breve termine). In sintesi, tutto questo si traduce in una migliore funzionalità psicologica e nella riduzione di sintomi.

Ma ci sono anche altri modelli esplicativi che, da punti di vista diversi, possono spiegare i benefici che la Mindfulness apporta.

Ad esempio, secondo la Teoria dei Sottosistemi Interattivi, che considera la mente come un sistema di elaborazione delle informazioni, suddivisa in più sottosistemi mnemonici, i benefici della Mindfulness si spiegano in quanto è in grado di raggiungere le emozioni a livello implicazionale, cioè quelle emozioni che non sono accessibili attraverso un approccio puramente verbale e razionale.

Per spiegare meglio: in questo modello si considera che gli stimoli provenienti sia dall’esterno che dall’interno, possano essere codificati secondo due modalità: proposizionale (cioè “sapere che…”) e implicazionale (cioè “sentire che…”). Dunque, il magazzino della memoria proposizionale, conterrebbe conoscenze che possono essere espresse a livello linguistico, mentre la memoria implicazionale, molto più ampia, immagazzinerebbe esperienze emotive non esprimibili direttamente con il linguaggio.

E’ questo, di fatto, uno degli ostacoli alle terapie verbali, e ciò permette anche di comprendere l’importanza degli approcci non verbali, come ad esempio le tecniche corporee, immaginative o l’arte terapia, che consentono di accedere anche a questi livelli di sè, non esprimibili con la parola.

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Inoltre sappiamo che il cervello reagisce agli stimoli anche in altri modi: utilizza processi di tipo “bottom up”e “top down”. Cioè dal basso verso l’alto, quando

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l’attenzione è richiamata da uno stimolo, come nel caso di un suono inaspettato o di un dolore improvviso. E dall’alto al basso, quando l’attenzione è controllata dalla persona stessa che la indirizza verso un obiettivo specifico.

I processi “bottom up” coinvolgono aree del cervello più antiche, in termini evoluzionistici, come il tronco encefalico. L’attenzione “top-down”, invece, coinvolge meccanismi di controllo associati ad aree di formazione più recente del cervello, come ad esempio la corteccia frontale.

La Mindfulness, come abbiamo visto, insegna a notare e a concedersi tutte le emozioni nel momento stesso in cui vengono provate e a non reagire automaticamente o impulsivamente, ma in modo più consapevole e mirato.

In sintesi, si può dire che la Mindfulness migliori i processi top-down dell’attenzione e bottom-up delle emozioni. L’ipotesi maggiormente supportata dalle ricerche sul cervello è che i benefici della mindfulness siano da attribuire ad una regolazione degli impulsi, dalla corteccia prefrontale al sistema limbico.

I processi “top down” sono anche collegati alla memoria a breve termine, che funziona in modo ottimale quando il “rumore” che circonda gli stimoli, ad esempio le emozioni, viene efficacemente regolato.

Dunque, migliorando l’abilità nel gestire le emozioni, la Mindfulness rende più efficace la memoria a breve termine, ampliando così la capacità del cervello di acquisire nuove informazioni.

E abbiamo già visto come questo aspetto sia particolarmente importante nelle persone che soffrono di ansia e depressione, spesso chiuse in circoli viziosi di pensieri ed emozioni negativi.

Altri studi hanno dimostrato che la capacità di rendere più efficiente la memoria di lavoro, alleggerendo il carico emozionale delle memorie traumatiche, è particolarmente benefica per persone con Disturbo Post – Traumatico da Stress. La pratica della Mindfulness infatti, libera più attenzione da dedicare ad uno spettro più ampio di esperienze, di cui la persona altrimenti, molto probabilmente, si priverebbe.

Altre ricerche in campo neurofisiologico (Davidson, 2003) hanno rilevato che la mindfulness stimola un’attivazione cerebrale nelle aree del cervello associate alla compassione.

Altri studi ancora, hanno mostrato che esiste una correlazione positiva fra consapevolezza delle reazioni fisiche ed emotive, ed empatia.

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Un risultato, questo, importante, non solo per i pazienti, ma anche per i terapeuti. Infatti, si è riscontrato che i terapeuti che meditano, hanno punteggi nettamente superiori rispetto a colleghi che non praticano la meditazione. I benefici riscontrati nella ricerca (Mayr, 2007) includono una maggiore attenzione, un livello più alto di tolleranza delle emozioni del paziente, una maggiore accettazione e un’attitudine più aperta.

E tutto questo, in base a molti studi, sembra riflettersi positivamente non solo sulle capacità empatiche dello psicologo, ma anche sull’alleanza terapeutica, entrambi fattori importantissimi, che incidono per almeno il 30% sulla riuscita del percorso psicologico.

Per quanto riguarda, in particolare, l’utilità della Mindfulness nella cura di sintomi psicopatologici, sembra che i benefici più importanti siano quelli che coinvolgono i processi di regolazione dell’attenzione. Questi, infatti, sono fondamentali nell’elaborazione delle informazioni e sembrano rivestire un ruolo rilevante in molte condizioni di sofferenza psichica.

Ad esempio, le persone con predisposizione all’ansia, percependo il mondo come

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un posto non sicuro, tendono ad essere eccessivamente vigili, ad esaminare continuamente l’ambiente alla ricerca di potenziali indizi minacciosi e, paradossalmente, si distraggono da elementi importanti che potrebbero contraddire le loro aspettative ansiogene.

Analogamente le persone depresse tendono a selezionare le informazioni che confermano la loro visione cupa della realtà e ad accorgersi in misura minore delle esperienze positive, poiché questo richiede un’attenzione più ampia ed aperta.

Ma in generale, l’attenzione è un fenomeno complesso, che è stato studiato dagli psicologi per oltre un secolo. Si possono distinguere, ad esempio, svariate forme di attenzione (come l’attenzione focalizzata, mantenuta, divisa, ecc.). E allenare queste capacità serve ad incrementare la meta-consapevolezza, cioè la “consapevolezza di essere consapevoli”, il sapere che cosa si sta vivendo.

Per indicare questa condizione sono stati utilizzati molti termini ed espressioni: disidentificazione, decentramento, porsi come testimone neutrale, essere uno spettatore imparziale, ecc.

In sintesi, potremmo dire che diversi studi sembrano confermare che i benefici della mindfulness derivino proprio dallo sviluppo delle capacità di meta-cognizione.

Nella Mindfulness ci si esercita a notare le distrazioni e a non farsene coinvolgere e in pratica ciò significa saper “disattivare il pilota automatico” e mettersi in una condizione di “guida consapevole di sè”.

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…work in progress…

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