Psicologia, Cure Complementari, Benessere

Vivere consapevolmente: l’importanza della Mindfulness nella vita quotidiana

Mare azzurro, cielo limpido, sole caldo sulla pelle. Distesa su un lettino a righe bianche e blu, sotto un ombrellone variopinto, una persona si gode una giornata estiva leggendo un giornale leggero.

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Probabilmente nella sua vita normale non lo farebbe: perchè non ha tempo, perchè ci sono cose più serie da fare, perchè magari di solito non prende in considerazione certi settori frivoli della carta stampata. Ma qui, in vacanza, in estate, può permettersi di lasciarsi sedurre dai colori vivaci e lucidi delle copertine dei giornali e si concede di mettere in stand by anche la parte più razionale e critica della mente, in nome di un relax ad oltranza. E mentre finalmente può assaporarlo, insieme al profumo del mare e a una leggera e piacevole brezza sulla pelle,

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i suoi occhi scivolano su una parola scritta in un corsivo leggero e svolazzante: “Mindfulness”.

L’ha già sentita o letta da qualche parte, di sicuro non le è nuova…la incuriosisce. Si sofferma allora sulla pagina e scopre che la Mindfulness è una pratica che oggi va molto di moda e dai molteplici benefici. Promette di migliorare tanti aspetti della propria vita: dal lavoro, alle relazioni, al rapporto con se stessi, con le emozioni, con il proprio corpo...addirittura può servire per dimagrire. E si ripromette di saperne di più quando tornerà in città, magari iscrivendosi ad un corso o leggendo qualcosa di più consistente a riguardo.

Proposta in questo modo semplice, giocoso e invitante, la Mindfulness è diventata ai nostri giorni una pratica conosciuta ed esercitata da molti.

In realtà è un insegnamento molto serio,

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che affonda le sue radici nei percorsi filosofici e spirituali millenari dell’Oriente

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e che ha dimostrato il suo valore anche attraverso rigorose ricerche scientifiche.

Ma chi l’ha detto che una cosa importante debba essere anche complicata?

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In realtà la Mindfulness consiste semplicemente nell’osservare noi stessi senza giudizio e nell’accogliere tutto ciò che si manifesta in noi senza volerlo alterare o manipolare. Insomma, nell’essere presenti nel qui e oraconsapevoli di essere consapevoli. E in questa semplicità si condensa un nucleo di grandi benefici che si irradiano inevitabilmente in tutte le direzioni di cui è composta la nostra vita.

Per certi versi posso ritenermi fortunata. La vita mi ha dato la possibilità di comprendere l’importanza della Mindfulness molto presto, fin da quando, da giovane, ero attratta dalle tecniche di meditazione e dalla cultura dell’Oriente, che sentivo, intuivo, essere gravida di doni inesplorati per noi occidentali.

Ma soprattutto, ne ho sperimentato le potenzialità quando ho incontrato sul mio cammino il Rebirthing, una pratica di trasformazione interiore e auto guarigione basata sulla respirazione, a cui sono molto affezionata e che a tutt’oggi pratico e insegno con piacere.

Anche il Rebirthing è di una semplicità disarmante e di un’efficacia sorprendente. E la Mindfulness è uno dei 5 elementi di cui è composto questo metodo di lavoro su se stessi.

Ma vediamo più da vicino che cos’è la Mindfulness e soprattutto come si è sviluppato il suo utilizzo nel mondo della psicologia.

Come ho già premesso altre volte, la psicologia si articola in orientamenti diversi, che si differenziano tra loro a seconda della “mappa” che viene utilizzata per interpretare i fenomeni psicologici e per “muoversi” all’interno dei territori della psiche.

L’approccio nel quale si è sviluppato l’utilizzo della Mindfulness, è soprattutto quello della Psicologia Cognitivo-Comportamentale.

In particolare, un ambito in cui questa pratica di consapevolezza ha mostrato le sue potenzialità ristrutturanti e terapeutiche, è quello della Schema Therapy, un approccio integrato fondato dallo psicoterapeuta newyorkese Jeffrey Young.

Negli anni ’70 e ’80, nel campo della ricerca in psicologia clinica, molti studi ed esperimenti si sono concentrati sull’ipotesi che la sofferenza psicologica, di vario genere, possa essere correlata a modalità di percezione, sia interna che esterna, diversa dalla norma. Cioè in sostanza, semplificando, la principale tesi ipotizzava che la sofferenza psicopatologica possa derivare dal modo in cui le persone interpretano e giudicano le proprie esperienze e da come ricordano il proprio passato ed anticipano il futuro.
Una parte di questi studi consisteva nella ricerca sugli “schemi”, cioè strutture di elaborazione delle informazioni, che hanno la proprietà di potersi automatizzare e tradurre in reazioni abitudinarie.
Gli schemi, si è visto, hanno lo scopo di rendere efficiente l’elaborazione cognitiva, ma di fatto possono anche essere “distorti” e disfunzionali.

La Schema Therapy, nata in questo contesto di studi, si occupa proprio di comprendere come si formino gli schemi, come vengano attivati nel vivere quotidiano e quali reazioni emotive (dette “mode”) siano in grado di innescare.

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Detto con semplicità, gli schemi sono il modo in cui le persone percepiscono se stesse, gli altri e il mondo che li circonda.

Si costruiscono attraverso percezioni sensoriali, emozioni e azioni, impresse nella memoria in esperienze passate, in modo particolare durante l‘infanzia, e si può dire che siano le nostre “convinzioni di base”, quelle che vanno a formare le fondamenta della nostra personalità.

Con il termine di “mode”, invece, si indicano gli stati d’animo specifici, le reazioni che insorgono in noi, in conseguenza del nostro modo di percepire la realtà, connesso agli schemi che ci caratterizzano.

Naturalmente, schemi e mode disfunzionali, sono quelli che hanno una più grave potenzialità patogena.

Per fare degli esempi, schemi di questo tipo possono essere: la negatività e il pessimismo, l’inibizione emotiva, l’ipercriticità, la mancanza di autocontrollo e di autodisciplina, la sottomissione, la ricerca di approvazione, il senso di inadeguatezza e la vergogna, solo per citarne alcuni.

Invece, gli stati d’animo che possono nascere da tali convinzioni, cioè i mode, sono ad esempio: senso di vulnerabilità, rabbia, impulsività, bisogno di attenzione e molti altri ancora.

Con il tempo sono stati anche messi a punto diversi questionari per poterli rilevare e studiare, come ad esempio lo ”Young Schema Questionnaire” e lo “Schema Mode Inventory”.

Ma che cos’è la Mindfulness e come può essere utile ed efficace nel modificare schemi e mode?

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La Mindfulness può essere definita come un’atteggiamento mentale che consiste nell’ osservare e lasciare che si manifestino liberamente in noi sensazioni, emozioni, pensieri, immagini, così come arrivano, momento per momento, senza valutarle, reprimerle o tentare di modificarle.
Un atteggiamento di questo tipo può essere appreso attraverso esercizi di attenzione intenzionale, focalizzata sui propri contenuti psicologici e sulle reazioni corporee.

Attraverso la pratica degli esercizi, ci si può accorgere di essere spesso in modalità “fare”, sempre occupati a pensare e ad agire verso qualche obiettivo. La Mindfulness, invece, insegna ad entrare in modalità “essere” e a rimanerci, permettendosi qualunque esperienza, incluse quelle indesiderate, che generalmente porterebbero a reagire, per abitudine o per impulso.

L’atteggiamento di consapevolezza e accettazione, dunque, permette di diventare coscienti dei propri schemi, di mettere uno spazio tra lo schema e la propria reazione, e quindi di poter scegliere come reagire e come comportarsi successivamente.

Perciò, grazie alla Mindfulness, gli schemi di reazione radicati, datati e non più funzionali, possono perdere il loro potere. E’ normale quindi che la persona possa sviluppare un senso di maggiore libertà di scelta e che migliori la sua capacità di reagire in modo diverso, più utile alla situazione attuale. E questo è possibile anche nel caso di sofferenze psicologiche o psicosomatiche: i pazienti possono imparare a gestire diversamente sintomi psicologici disturbanti.

Certo, può sorgere una domanda spontanea: ma come funziona la Mindfulness? Quali sono i meccanismi che la rendono efficace e utile psicologicamente e psicosomaticamente?

Per rispondere a questa domanda vi aspetto al prossimo articolo.

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FULVIA GABRIELI – PSICOLOGA

Bibliografia

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  • Van Vreeswijk M., Broersen J., Schurink G., Mindfulness e Schema Therapy, Istituto di Scienze Cognitive Editore, Sassari, 2016
  • Jeffrey E. Young, Janet S. Klosko, Marjorie E. Weishaar, Schema therapy. La terapia cognitivo – comportamentale integrata per i disturbi di personalità, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 2018
  • Arntz A., Gitta J., Schema therapy in azione. Teoria e pratica, Istituto di Scienze Cognitive Editore, Sassari, 2013
  • http://www.schematherapysocety.org
  • http://www.schematherapy.com
  • http://www.international-isc.com

young1 Jeffrey E. Young, psicoterapeuta, è il “padre” della Schema Therapy. Si è laureato alla Yale University e si è formato presso l’Università della Pennsylvania, intraprendendo percorsi di studio post – dottorato sotto la guida di Aaron T. Beck, il fondatore della Psicoterapia Cognitiva. Dal 1986 è docente del Dipartimento di Psichiatria della Columbia University. E’ fondatore e direttore del Cognitive Therapy Center di New York e del Connecticut e dello Schema Therapy Institute.
Dal 2006 è Presidente Onorario dell’International Society for Schema Therapy.

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